Legittimi dubbi sull’esistenza di Pessoa

Fernando Pessoa non era sicuro di esistere, o meglio, non era sicuro di quale sua sfumatura esistesse, di volta in volta, in ogni passaggio della sua esistenza.

Compie il poeta nello stesso momento, una duplice procedura, una duplice finzione, da buon fingitore quale è: sottrae peso alla figura umana, ma ne amplia all’estremo le caratteristiche tipiche di un personaggio letterario, donandogli massima libertà. Il suo essere variamente altro da un Io che non so se esiste, circola nell’immaginario collettivo dei lettori come una sorta di valore aggiunto all’eteronimo scelto, o meglio all’eteronimo da Pessoa sentito, avvertito come suo, in un dato spiraglio della propria vita.

Chi legge Pessoa ne avverte il fascino, l’attrazione ad una figura che si svuota di sé, per poi rivelarsi in altri sé, in un leggero mutuarsi di caratteristiche, pregi e difetti, abilità poetiche e profondità. Sebbene tutti definiti e precisi, gli eteronimi appartengono a Fernando Pessoa, e di esso ne conservano il sapore, Fernando Pessoa stesso compreso. Egli non sa chi è, al massimo conosce chi, di volta in volta, lo abita, fino a confondere anche la sua stessa personalità reale; Pessoa è plurime realtà, e riconoscerlo come Fernando Pessoa, creatore di eteronimi, pare quasi riduttivo.

Pessoa finge, finge così completamente, da smettere di esistere come Fernando, per assumere finalmente, quasi a livello fisico, i tratti di differenti personaggi, annullandosi nelle loro multiple sfaccettature. Oltre ai suoi testi, al suo baule, conserviamo del poeta immagini, fotografie o dipinti, che ci offrono la stessa figura in differenti pose, assurgibili a emblemi di equivalenti personalità, senza che di nessuna di queste se ne possa definire l’origine, l’uomo, la realtà. L’unica realtà di Pessoa che possiamo agguantare, è quella di un uomo, presunto tale, corrispondente straniero in imprese commerciali, che ha trovato il modo migliore per confondersi con la letteratura, divenendo personaggio di se stesso. Egli traduce la crisi dell’essere nella frantumazione dell’intimo, si innalza a portavoce di quel modernismo, di quel rapporto critico con l’Io, avviato in precedenza da Baudelaire. Il francese scopre per primo le problematiche relative alla coerenza dell’Io; i poeti successivi, da Rimbaud a Valèry, da Ezra Pound a S. J. Perse, scoprono la libertà di poter uscire da questo Io. Pessoa, di questa libertà, ne fa un uso quasi sconsiderato, estremo, ai limiti della psicopatia e della clinica multi personalità, riassumendo il problema della modernità in un disegno unitario, lucido e sistematico. Valèry scrisse che la poesia produce molte variazioni sullo stesso soggetto, ed è come se Pessoa lo prenda alla lettera, realizzando diversi eteronimi sulla base di una unica idea-soggetto (la molteplicità dell’Io), in una sorta di esercizio di stile.

Il percorso che si snoda da Baudelaire a Pessoa, passa attraverso una lunga serie di sperimentazioni letterarie, soprattutto poetiche, che rendono la poesia e la letteratura realmente moderne, portatrici di quel germe di frammentazione dell’Io, teso a rendere lo stesso Io poetico libero dall’Io empirico, coperto finalmente da uno strato di oscurità, di incomprensione che viene progressivamente cercato e perfezionato dagli autori stessi. Attraverso la distruzione dell’intimo, il poeta moderno si impossessa come in un paradosso di una vera e propria libertà, sdogana il suo messaggio, senza la necessità o la preoccupazione di essere compreso. Il poeta si addentra in una nuova dimensione letteraria, dove il rapporto con la realtà e con se stessi cambia, in un vortice che pare creare il concetto embrionale di licenza poetica; nasce il concetto moderno di libertà della parola, di magia alchemica della parola poetica, di oscurità e di occultismo, che riesce a svilupparsi con il contributo di Novalis prima, di Mallarmè poi, di Apollinaire, fra i tanti, fino ad arrivare a Pessoa, che dell’occultismo guarda anche al lato più pratico.

Pessoa rappresenta una sorta di punto di arrivo della modernità poetica, che vede nel corrispondente in prosa un simile risultato raggiunto in Borges e in Pirandello, capaci di esprimere questa libertà ottenuta e questa frammentazione, nella pluralità dei mondi, o nella pluralità degli Io visti dagli occhi degli altri. L’ Aleph di Borges racchiude in se tutte le possibilità, la totalità del tutto, l’infinità delle cose e dei tempi, compresa la totalità delle personalità possibili.

Allo stesso modo Pirandello esprime l’infinità delle potenzialità aprendo questo Aleph, schiudendo questo atomo per offrirlo al lettore, rendendo Vitangelo Moscarda il sunto perfetto di una consapevolezza acquisita progressivamente da un uomo, dall’uomo moderno, il quale si percepisce ora non più come uno, bensì come frammento, come nessuno, come multiplo, centomila, comprendendo finalmente la soggettività della realtà. Fernando Pessoa era uno, nessuno e centomila; la sua figura letteraria, un Aleph.

Il poeta, fra i più rappresentativi del ventesimo secolo, passa attraverso la letteratura e se stesso, cammina un passo oltre i suoi colleghi, percepisce per primo e più in profondità la modernità del testo, con lui, per la prima volta, questo si scopre completamente e organicamente meta letterario.

Pessoa è il primo a vivere realmente e con completa complicità la sua stessa poesia.

Diego Perucci

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